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La Parola quotidiana di Dio: Conoscere Dio | Estratto 50

132 06/06/2020

Manifestazioni dell’umanità di Giobbe durante le sue prove (comprendere la perfezione, la rettitudine, il timore di Dio e il rifiuto del male da parte di Giobbe nel corso delle prove)

Quando Giobbe seppe che i suoi beni erano stati rubati, che figli e figlie avevano perso la vita, e che i suoi servi erano stati uccisi, reagì nel modo seguente: “Allora Giobbe si alzò e si stracciò il mantello e si rase il capo e si prostrò a terra e adorò” (Giobbe 1:20). Queste parole ci rivelano un fatto: appresa la notizia, Giobbe non si fece prendere dal panico, non pianse, e non rimproverò i servi che gli avevano comunicato l’accaduto. Non si recò nemmeno a ispezionare la scena del crimine per investigare e verificare il perché e il percome, e scoprire ciò che era successo realmente. Non manifestò nessun dolore o rimpianto per la perdita delle sue proprietà, e non scoppiò in lacrime per la scomparsa dei suoi figli, tanto amati. Al contrario, si stracciò il mantello, si rase il capo, si prostrò a terra e adorò. Le azioni di Giobbe non sembrano proprio quelle di un uomo comune. Molti rimangono confusi, interiormente rimproverano Giobbe per il suo “sangue freddo”. Se perdono improvvisamente le loro proprietà, le persone normali appaiono straziate, disperate, o, in alcuni casi, cadono nella depressione più profonda. Ciò avviene perché, nei loro cuori, le proprietà rappresentano una vita di fatiche, la base stessa della loro sopravvivenza, la speranza che li mantiene in vita. La perdita delle proprietà significa che tutti i loro sforzi sono stati vani, che non hanno più speranza, e addirittura che non hanno più un futuro. Questo è l’atteggiamento di qualsiasi persona normale nei confronti delle proprietà e della stretta relazione che hanno con esse, e questa è anche l’importanza che le persone attribuiscono ai loro beni. Stando così le cose, la grande maggioranza delle persone si sente confusa dall’atteggiamento freddo di Giobbe nei confronti della perdita delle sue proprietà. Adesso, cercheremo di dissipare la confusione di tutti costoro, spiegando quello che successe nel cuore di Giobbe.

Il buon senso richiede che, avendo ricevuto così tanti beni da parte di Dio, Giobbe dovesse provare vergogna di fronte a Dio per averli persi, per non aver badato a essi e non essersene preso cura, per non aver saputo conservare ciò che Dio gli aveva donato. Quindi, avuta la notizia del furto delle sue proprietà, come prima reazione avrebbe dovuto recarsi sulla scena del crimine, fare l’inventario di tutto ciò che era stato trafugato, e poi confessarsi a Dio per poter ricevere ancora le Sue benedizioni. Invece, Giobbe non fece niente di tutto ciò, e aveva i suoi buoni motivi per agire così. Dentro di sé, credeva fermamente che tutti i suoi averi gli fossero stati concessi da Dio, e che non derivassero dalle sue fatiche. Quindi, non considerava queste benedizioni come qualcosa da cui trarre vantaggio, ma si tenne aggrappato a quella via che doveva, con le unghie e con i denti come principi di vita. Serbò le benedizioni di Dio, e rese grazie per esse, ma non ne era innamorato e non ne desiderava sempre di più. Questo era il suo atteggiamento verso le proprietà. Non fece niente allo scopo di guadagnare benedizioni, non si preoccupò e non si afflisse per la mancanza o la perdita delle benedizioni di Dio; non divenne sfrenatamente, follemente felice a motivo delle Sue benedizioni, non ignorò la via di Dio e non dimenticò la Sua grazia, a causa delle benedizioni di cui godeva di frequente. L’atteggiamento di Giobbe verso le sue proprietà ne rivela la vera umanità: prima di tutto, non era un uomo avido e non era esigente nella sua vita materiale. Secondo, non si preoccupò mai e non temette mai che Dio gli avrebbe tolto tutto ciò che possedeva, e questo era il suo atteggiamento interiore di obbedienza nei confronti di Dio; non vantava pretese o rimostranze su quando o se Dio gli avrebbe tolto qualcosa e non chiedeva il perché, ma cercava solo di obbedire alle Sue disposizioni. In terzo luogo, non aveva mai creduto che i suoi beni fossero il frutto delle sue fatiche, ma che gli fossero stati concessi da Dio. Questa era la fede in Dio di Giobbe, ed è la dimostrazione delle sue convinzioni. La sintesi in tre punti è stata sufficiente per chiarire l’umanità di Giobbe e la sua reale ricerca giornaliera? L’umanità e la ricerca di Giobbe erano parte integrante della sua condotta fredda nel momento della perdita delle sue proprietà. Proprio grazie alla sua ricerca giornaliera, durante le prove inviategli da Dio, Giobbe ebbe la levatura e la convinzione per dichiarare: “Jahvè ha dato, Jahvè ha tolto; sia benedetto il nome di Jahvè”. Queste parole non vennero fuori da un giorno all’altro, e non gli vennero in mente all’improvviso. Si trattava di ciò che aveva visto e acquisito nel corso di molti anni di esperienza di vita. L’obbedienza di Giobbe non è forse molto concreta, se confrontata con quella di tutti coloro che cercano solo le benedizioni di Dio, e temono che Egli possa togliergliele, odiando e lamentandosi di tale eventualità? Giobbe non possiede forse una grande onestà e rettitudine, se confrontato con tutti coloro che credono esista un Dio, ma non hanno mai creduto che Egli regni su tutte le cose?

La ragionevolezza di Giobbe

Le esperienze reali di Giobbe e la sua umanità retta e onesta fecero sì che, quando perse beni e figli, egli attuò le decisioni e le scelte più ragionevoli. Tali scelte ragionevoli erano inseparabili dalle sue ricerche giornaliere e dagli atti di Dio che egli era giunto a conoscere nella sua vita quotidiana. L’onestà di Giobbe gli consentì di credere che la mano di Jahvè governa tutte le cose; la sua fede gli permise di riconoscere la sovranità di Jahvè Dio su tutte le cose; la sua conoscenza lo rese disposto e pronto a obbedire alla sovranità e alle disposizioni di Jahvè Dio; la sua obbedienza lo rese sempre più autentico nel suo timore di Jahvè Dio; il suo timore lo rese sempre più concreto nel suo rifiuto del male; in definitiva, Giobbe divenne perfetto perché temeva Dio e fuggiva il male; la sua perfezione lo rese saggio e gli donò il massimo della ragionevolezza.

In che modo dovremmo intendere il termine “ragionevole”? Secondo un’interpretazione letterale significa avere buon senno, essere logici e assennati nel proprio pensiero, servirsi di parole, azioni e giudizi ben fondati, e possedere valori morali adatti e regolari. Tuttavia, la ragionevolezza di Giobbe non si può spiegare così facilmente. Quando si dice che Giobbe era dotato della massima ragionevolezza, ci si riferisce alla sua umanità e alla sua condotta di fronte a Dio. Siccome egli era onesto, sapeva credere e obbedire alla sovranità di Dio, e questo gli faceva acquisire una conoscenza inaccessibile agli altri, che a sua volta lo rendeva capace di discernere, giudicare e definire con più precisione ciò che gli succedeva e lo rendeva capace di scegliere con più precisione e perspicacia cosa fare e su che cosa restare saldo. In altri termini, le sue parole, il suo comportamento, i principi di base delle sue azioni, e le regole che seguiva nell’azione, erano regolari, chiari e specifici e non ciechi, impulsivi o emotivi. Sapeva come affrontare tutto ciò che gli accadeva, come bilanciare e gestire le relazioni tra eventi complessi, come rimanere fedele alla via alla quale doveva attenersi e inoltre sapeva come affrontare ciò che Jahvè Dio gli dava o gli toglieva. Ecco il succo della ragionevolezza di Giobbe. Proprio perché era dotato di questa ragionevolezza, quando perse i suoi beni, i suoi figli e le sue figlie, Giobbe affermò: “Jahvè ha dato, Jahvè ha tolto; sia benedetto il nome di Jahvè”.

La Parola, Vol. 2: Riguardo al conoscere Dio, “L’opera di Dio, l’indole di Dio e Dio Stesso II”

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